L’emendamento inserito nel decreto Milleproroghe dal Governo Renzi rimanda di pochissimo il grande nodo del come rimettere in sesto le finanze comunali a Venezia. Il paradosso di Venezia è davanti agli occhi di tutti: una Città unica al Mondo, che potrebbe essere ricca e florida e che invece non ha nemmeno i soldi per la manutenzione ordinaria, per i servizi essenziali, per tutelare e curare i propri cittadini. Una Città che ha visto e continua a vedere passare fiumi di denaro senza poterne beneficiare e senza che si traducano in un benessere collettivo. Chi dice che tutti i mali derivano dalla crisi del Casinò o dal venire meno dei finanziamenti straordinari della Legge speciale dice una mezza verità: è vero che quelle entrate consentivano di coprire alcuni servizi e attività sociali ma quel sistema ha moltiplicato il clientelismo, la corruzione e il malgoverno. Ne è derivata una Politica che lasciava mangiare smodatamente i più forti e blandiva con pochi spiccioli i più deboli. Così hanno vinto nel tempo la speculazione, la rendita, la rassegnazione. Negli ultimi dieci anni il Comune di Venezia ha vissuto all’insegna dell’emergenza infilando, una dopo l’altra, operazioni di presunto salvataggio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Amministrazione ha venduto pezzi importanti del patrimonio pubblico; si sono accumulate le perdite – centinaia di milioni di euro tra derivati, cartolarizzazioni e fondi di investimento fasulli; si è barattato il governo urbano della Città per trenta denari (a forza di cambi di destinazione d’uso e di cessioni di spazi pubblici). Qualcuno, tra coloro che si candida alla guida della Città, pensa di poter continuare ancora su questa strada. Che si tratti di una triste realtà e non solo di un’illazione, lo conferma il fatto che i responsabili della passata disastrosa e miope gestione sono ancora tutti in attività e affollano le seconde file dei candidati sindaco del centrosinistra. E qualcuno – sempre gli stessi – suggerisce pure al Commissario le ultime schifezze finanziarie (come quelle di questi giorni, per coprire la spesa corrente con city tax, multe e oneri di urbanizzazione). Noi vogliamo voltare davvero pagina. E non siamo soli né pochi. Alcune regole essenziali le abbiamo più volte annunciate. Primo: le spese correnti si coprono con le entrate correnti (un’ovvietà, ma a vedere quello che propone Zappalorto, mica tanto). Secondo: gli sprechi ci sono e sono tanti. Anche la spesa per il personale può essere ridotta: basta mettere mano ai tanti inutili direttori (con lauti stipendi), alla logica dei premi, della produttività, che vengono distribuiti a pioggia senza minimamente tener conto dei risultati e delle professionalità. Terzo: occorrono nuove risorse ordinarie permanenti per costruire una vera politica di bilancio, con investimenti e priorità chiare. Abbiamo, a più riprese, chiesto che Venezia possa gestire una parte del gettito tributario derivante dalle imposte indirette (un punto dell’IVA ora incamerata da Roma). Ma anche l’economia turistica deve e può contribuire di più. Quarto: ci sono risorse europee alle quali per la storia e la peculiarità di Venezia sarebbe facile accedere. Ci vuole un messaggio politico forte, autorevole, e capacità tecniche di progettazione. Potremmo ricavarne risorse ingenti (obiettivo: almeno +5% del bilancio attuale). Quinto: il patrimonio immobiliare pubblico (in particolare l’Arsenale e i forti trincerati di Mestre) sono una risorsa culturale e storica ma possono produrre economia vera per la Città. Altro che darli in pasto a schiere di speculatori immobiliari! Sesto: Marghera deve poter diventare un grande luogo di investimenti per la logistica, la manifattura e per i servizi avanzati. Trasformiamo l’accordo di programma (150 milioni di euro) in una realtà produttiva capace di generare risorse anche per la finanza pubblica. Settimo: Le politiche sociali e per la qualità della vita dei cittadini possono essere finanziate con strumenti già disponibili (ad esempio, il 5 per mille che i contribuenti residenti possono devolvere direttamente al Comune). Ottavo: Le aziende partecipate devono essere gestite in modo da produrre servizi di qualità per i cittadini invece di pesare con i loro disavanzi sulle casse comunali. Amministratori e dirigenti incapaci devono lasciare il posto a persone competenti e responsabili. Nono: Una revisione sostanziale degli strumenti di finanziamento del Comune. In questi anni (e i derivati sono stati solo la punta dell’iceberg) la comunità cittadina ha regalato denari a intermediari finanziari di ogni tipo. Esistono strumenti utili e socialmente responsabili: un esempio per tutti i social bond. Decimo: innovazione e ancora innovazione! Guardarsi in giro e imparare dalle buone pratiche europee e internazionali. Il 24 maggio dovremmo scegliere: o continuare con gli azzeccagarbugli e i bottegai della politica oppure scegliere di dotarci di una vera politica finanziaria comunale. Perché sia chiaro: di Salva Venezia-ter non ne vogliamo proprio sentire parlare e quelli che vivono di questi espedienti è bene che se ne facciano una ragione.