Ytali.com, 22 maggio 2015
a cura di Claudio Madricardo e Guido Moltedo
Lo spettacolo, giovedì sera al Corso di Mestre, erano nove candidati. Di fronte a un folto pubblico, interessato e attento, con una presenza fisiologica di tifosi e di disturbatori. Nove aspiranti alla poltrona di sindaco di Venezia. Troppi per capire davvero chi sono, da dove vengono e dove vanno, e soprattutto perché si sono candidati. Eppure si poteva lo stesso capire molto, di loro, di ciascuno di loro, anche solo osservando se e come accavallavano le gambe, interrogandosi perché avessero deciso di presentarsi in cravatta, o senza, se prendevano appunti o no, se sembravano autentici o costruiti.
La personalizzazione della politica è anche questo, e in mancanza di uncorposo confronto tra contendenti, ytali ha pensato di analizzare l’evento osservando i loro corpi, con le lenti della psicopolitica. Prendendosi la libertà di stilare, su questa base, le pagelle dei nove candidati.
La qualità complessiva dello spettacolo? Modesta, rispetto alle attese.
Inevitabile la domanda finale: chi ha vinto? Non che significhi molto, rispetto a quel che accadrà a fine mese, nelle urne, ma il nostro è solo apparentemente un gioco e può essere un’interessante indicazione. Lo saprete alla fine.
Ecco allora le pagelle di ytali.
Look
La cravatta come segno di rispetto verso il pubblico, verso gli elettori. La giacca o il vestito intero, negli uomini, come assunzione di responsabilità di fronte a una carica importante, quello di primo cittadino. Oppure tenuta casual, sportiva, addirittura negligé o sbarazzina, per porsi sulla lunghezza d’onda di gran parte del pubblico in sala. Per essere più vicino agli elettori, più in sintonia con la sobrietà di una città ferita.
Gian Angelo Bellati: elegante, camicia e cravatta. Nota di colore: gli occhiali da vista rossi, in bisticcio con il vestito, l’unica eccentricità che stempera un altrimenti eccessivo senso di autorevolezza non scevro da qualche venatura di pignoleria.
Voto: sette.
Luigi Brugnaro: l’eterno ragazzo con la giacca buttata sulla spalla. Casual ma non casuale. Nulla pare lasciato al caso, anche se fa di tutto per farlo sembrare. Comunica confidenza e disponibilità. Sono ricco ma sono semplice, come uno di voi. Sono il futuro sindaco ma anche uno sportivo (il padrone della Reyer) a cui piace vincere (e che non sa perdere).
Voto: sette.
Felice Casson: porterebbe la cravatta, ma dà l’idea che se la sia appena tolta. Una via di mezzo tra il formale e l’informale. Probabilmente indosserebbe con maggior agio colli alla coreana, che a lui piacciono. Ma non sul palco del Corso. Discutibile il colore degli abiti che indossava: avrebbe potuto confondersi con una tappezzeria color nocciola sullo sfondo, e passare inosservato. Infatti, da lontano, dalle ultime file, si faticava a notarlo tra i nove. Eppure non è lui il front runner, la maglia rosa della gara? Anche dall’abito si sarebbe dovuto capirlo, in un format del genere. Se vai in tv ci stai attento, a queste cose. Sul palco, con altri otto no?
Voto: sei.
Mario D’Elia: un’informalità “mestrina” che stona col suo messaggio “veneziano”. Come un Hemingway vestito da caccia in laguna intento a scegliere un gioiello per la propria ultima fiamma presso una elegante boutique di Bulgari.
Voto: cinque.
Gianpietro Pizzo: eleganza sobria, in sintonia con la sua postura e con la serietà del suo messaggio. Voto: otto.
Davide Scano: giacca e cravatta che indossa come una divisa. È grillino e lo vuole far vedere, ma che cosa c’è sotto il vestito?
Voto: sei.
Camilla Seibezzi: non convenzionale, come s’addice al suo messaggio politico. Un tocco di colore la renderebbe più “visibile” dalle ultime file del Corso, anche agli elettori che non la conoscono. Voto d’incoraggiamento: sette.
Francesca Zaccariotto: impeccabile nel suo ricercato sportivo. Troppo ricercato. Già si vive come la sindaco in jeans e scarpe da tennis, firmate, beninteso, e sempre come appena uscita dal parrucchiere. Ma al suo elettorato piace proprio così, per questo merita: sette.
Linguaggio del corpo
Il corpo dice spesso le cose che non vuoi dire, o sottolinea efficacemente certe cose che vuoi proprio dire. Il “body language” rivela chi sei davvero, non consente di dire bugie. Anche quando pretendi di controllarlo, c’è il piede nervoso che ti tradisce, il labbro incurvato, lo sguardo assente, tutti segni che l’interlocutore interpreta, sovente più delle parole che ascolta da te.
Gian Angelo Bellati: scarsa gesticolazione, incastrato nella poltrona, mai gambe accavallate, rari guizzi corporei. La sua postura può confermare l’impressione di una persona seria, ma anche quella di una persona rigida. Si consigliano esercizi di respirazione e/o di yoga. Voto: sei.
Luigi Brugnaro: il suo corpo vuole parlare simpatia e seduzione. Ha un’alta considerazione di se stesso. Si piace. Ha un volto sul quale bizzarramente si disegna spesso la forma di un sorriso, anche quando non sorride ed è serio. Se non si sorveglia rischia la sindrome Berlusconi che si crede simpaticissimo, sfodera sorrisi, s’atteggia a spiritoso quando non c’entra niente, suscitando l’effetto opposto. Se imparerà a gestire più consapevolmente la sua corporeità, la prossima volta meriterà un sette. Per intanto si accontenti di un sei.
Felice Casson: nomen omen? Chi lo conosce dice che è simpatico e incline alla felicità, ma ieri, al Corso, non si sarebbe detto. Siamo però anche disposti a rovesciare la nostra percezione, pensando che la situazione veneziana non è per niente felice e, se la gravitas non diventa mestizia, è il “registro” che ci vuole per aspirare alla poltrona di sindaco e affrontare, seriamente, appunto, la sfida.
Voto: sei (che può perfino diventare un sette).
Mario D’Elia: gliel’ha ordinato il medico, di candidarsi? I suoi gesti, i suoi sguardi, la sua postura dicevano: ma io, che ci sto a fare qui, stasera? Forse era irrequieto perché giocava fuori casa, a Mestre. A Venezia sarà più a suo agio. Ma giovedì sera non è andato sopra il cinque.
Gianpietro Pizzo: conosce l’ars oratoria del buon politico, e sa anche accompagnarla con adeguata gesticolazione, e con una corporeità assertiva che sottolinea la sincerità di quanto afferma. Prenderebbe un voto molto alto, se non fosse che sovente si fa prendere dalla vis oratoria e trasforma quello che dovrebbe essere un intervento ragionato in discorso da comizio. In un dibattito e in un confronto stonano i toni assertivi e alti e la postura fisica del comiziante.
Davide Scano: compunto, diligente, con l’assillo della sua gens, i grillini, di non sembrare un politico. Il rischio è che non si senta libero, e non appaia libero, ma come sotto la sorveglianza del Grande Fratello. Voto: sei.
Camilla Seibezzi: irrequieta sulla poltrona, sempre alla ricerca di spazio, che sembra non bastarle mai, partecipa a un dibattito ma si muove come fosse in un’assemblea. Voto: sei:
Francesca Zaccariotto: se dovesse avere i voti solo da chi già è prevedibile che li abbia, il suo modo di porsi, come il suo modo di parlare, sarebbe inappuntabile. Ma se deve andare oltre il suo recinto, cioè sperare di vincere, è troppo evidente che il suo cuore batte in sintonia con quello della peggiore destra. Voto: sette.
Linguaggio verbale
Gian Angelo Bellati: appropriato e rassicurante. Dà l’impressione di preparazione e competenza. Non parla politichese, ma senza qualche volo, almeno qualche metafora, finisce per sembrare arido. Voto: sette.
Luigi Brugnaro: il candidato ancora non ha deciso quale strumento suonare. Vorrebbe esser sexy, cercando continuamente la cifra del non convenzionale, la battuta, il risultato della Reyer, la quasi parolaccia. E spazia indifferentemente dal gergo dell’imprenditore a quello di Gentilini, fino a quello di un Berlusconi formato mignon (facendo perfino rimpiangere l’originale). Meriterebbe di sicuro un cinque, ma gli si riconosce un sei d’incoraggiamento, perché il ragazzo ha la virtù di accettare e digerire le critiche, specie da parte dei giornalisti.
Felice Casson: aspettarsi dal candidato favorito discorsi che lavorino anche sulle corde emotive, sarebbe come chiedere a un attore drammatico di recitare un ruolo comico. Se questo è il registro che corrisponde al suo temperamento e alla visione che egli ha del ruolo a cui aspira, va bene. L’importante è che questo “stile” entri in sintonia con la maggioranza degli elettori. Anche di Berlinguer si diceva che era triste, e non era vero, ma nessuno si sarebbe mai sognato, neppure Tonino Tatò, di suggerirgli di apparire più allegro. In ogni caso, se Casson trovasse il modo di parlare anche un po’ più di sé e della sua storia personale (molto bello il riferimento al padre, ma troppo breve) i suoi discorsi sarebbero più coinvolgenti. Voto: sei (in vista di un sette).
Mario D’Elia: così malmostoso che anche se dice le cose giuste, e me ha dette alcune, a onor del vero, sembra dirle in modo sbagliato. Merita un’altra insufficienza.
Gianpietro Pizzo: del limite del comiziante abbiamo detto. Il suo linguaggio è quello del politico che sa cos’è la politica, eppure non è politichese, anche se il rischio sembra in agguato.
Voto: otto
Davide Scano: il suo è un gergo che spesso si perde nei meandri delle tecnicalità e dei dettagli. È giusto citare casi esemplari, purché siano noti al grosso del pubblico, altrimenti anche le vicende che meritano più attenzione non fanno che distrarre chi ascolta. Voto: sei.
Camilla Seibezzi: la debordante passione politica spesso la porta fino ad alzarsi in piedi attaccando il suo interlocutore sul palco. Ma giovedì sera il suo interlocutore era il pubblico. Ridurre il pubblico di elettori a spettatori di diatribe ai più oscure, non fa guadagnare simpatie, caso mai il contrario. Voto: sei
Francesca Zaccariotto: parla come se leggesse un libro stampato. Cade spesso in tic verbali ricorrendo a perifrasi pleonastiche e ridondanti (quello che, quelle che, quelli che). Non sarà che, da buona leghista della prima ora, è a più a suo agio col dialetto del suo Veneto? Voto: sei.
Pertinenza delle risposte da parte dei candidati alle domande
Nessuno degli aspiranti sindaco ha risposto alla domanda delle domande: con chi andrà a governare se eletto? Chi saranno i nomi nei ruoli-chiave della nuova giunta? Almeno un nome? Nessuno ha fornito un nome, neppure mezzo nome. Casson, un nome l’ha fatto. il suo, anzi due, visto che si è proposto uno e trino, immaginando per sé anche un paio di assessorati-chiave, più l’allusione a un tecnico di alto profilo, di cui però non ha rivelato l’identità. Seibezzi ha fatto riferimento all’insieme dei nomi della sua lista, mentre Scano si è rifatto al metodo penta stellare dei curricula e della selezione on line dei candidati.
Voto: quattro, per tutti, e siamo di manica larga.
Anche i conduttori del confronto, i colleghi della Nuova Venezia, meritano, se non una pagella articolata, un voto.
Sette ad Alberto Vitucci, che è stato molto professionale, riuscendo addirittura a non mettere se stesso al centro dei riflettori, ma valorizzando equamente tutti i partecipanti, con qualche appena accennata preferenza. Avrebbe meritato anche un bell’otto se, ingenuamente, non avesse controllato che fossero attivi almeno due microfoni sul palco con il risultato di consegnare l’unico in funzione nelle mani dei partecipanti, alcuni dei quali ne hanno allegramente approfittato. Il collega Carrai è stato altrettanto bravo e all’altezza del compito. La direttrice della Nuova, Pierangela Fiorani ha il merito di aver organizzato la serata, presentandola con la giusta professionalità. Certamente un giornale dovrebbe prendersi tutta la libertà di organizzare anche diversamente un incontro del genere, per esempio invitando solo alcuni dei candidati, assumendosi la responsabilità della scelta, per poter mettere in scena un confronto più serrato e più diretto tra i competitori.
Dieci e lode a Marta Artico, Rubina Bon, Roberta De Rossi, Vera Mantengoli, Carlo Mion per l’ottimo lavoro di tweet.
Il vincitore della serata: Gianpietro Pizzo, che totalizza ventisei punti distanziando di un bel po’ gli altri concorrenti.