Chi ha una certa età non può non ricordare le terribili violenze nella regione sudanese del Darfur, con le milizie Janjaweed che una ventina di anni fa perpetravano uccisioni, stupri e saccheggi di massa. Darfur è una parola che ancora oggi evoca tutto il male possibile.
Qualche speranza aveva suscitato la nascita dello stato del Sud Sudan, ma le cose sono tornate di nuovo a volgere al peggio. Questa volta però c’è qualcosa di diverso: l’indifferenza del mondo; se ne parla poco o nulla e la diplomazia internazionale non sta prendendo alcuna azione concreta.
I dati riportati dall’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) parlano di una situazione drammatica: più di 6 milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case e a cercare rifugio in altre regioni del paese; 1,5 milioni di rifugiati nei paesi vicini (Etiopia, Ciad, Repubblica Centroafricana, ecc.); 26 milioni di persone soffrono fisicamente e materialmente a causa delle conseguenze del conflitto.
Dal 15 aprile 2023 – sono ormai 14 mesi! – intere aree e città del Sudan sono diventate teatro di guerra tra due eserciti nemici: da un lato, le Forze Armate Sudanesi (SAF) e, dall’altro, le Rapid Support Forces (RSF), formate da molti ex Janjaweed. E i metodi sono sempre gli stessi: massacri su base etnica, violenze sessuali e saccheggi, nell’impunità generale.
La capitale federale Khartoum è parte integrante del teatro di guerra: infrastrutture distrutte, ospedali in rovina, uffici pubblici abbandonati; risparmiata dai conflitti precedenti, questa volta è stata l’epicentro degli scontri. Si parla di almeno 150.000 morti e metà dei suoi 9 milioni di abitanti ha dovuto darsi alla fuga. Si muore letteralmente di fame e tutta la città è stata saccheggiata.
Nessun negoziato sembra in grado di mettere fine al massacro e alla guerra; la prospettiva più credibile è che il paese sia destinato a una separazione de facto: da una parte, l’esercito regolare che controlla la parte est del territorio nazionale, con il nuovo centro politico e amministrativo a Port Sudan; dall’altra, la maggioranza degli stati sudanesi dell’ovest e del sud, Darfur, Kordofan, Al Jazirah e Sennar, controllati dalle RSF.
Il Sudan è vittima oggi di un’antica e odiosa politica di spartizione di influenze e di interessi. La guerra è finanziata grazie al controllo e allo sfruttamento delle risorse minerarie locali (in primis, l’oro); lo stesso conflitto è in realtà esploso per il mancato accordo tra i due gruppi militari nella spartizione delle imprese e degli asset economici del paese. Dietro questa ennesima guerra civile, molti gli attori internazionali implicati: la Russia e i suoi mercenari, ma anche i servizi segreti di mezzo mondo, ivi incluso rappresentanti del nostro democratico occidente che a più riprese ha strizzato l’occhio alle due fazioni militari riconoscendoli come interlocutori ufficiali e sostanziali.
Nessuno ha veramente sostenuto i rappresentanti della società civile quando nel 2019 tentarono di avviare un difficile processo di pace e di riconciliazione nazionale dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir. Nessuno ha veramente reagito quando nell’ottobre 2021 gli attuali contendenti, insieme deposero con un colpo di stato il governo civile. Il risultato di quel colpo di stato doveva essere una consensuale spartizione del bottino di guerra, ai danni di un paese povero e violentato.
I signori della guerra continuano indisturbati a operare; le organizzazioni umanitarie rimangono inascoltate quando chiedono un intervento urgente per porre fine al massacro. E il Sudan rimane assente e invisibile agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. I bambini uccisi, le donne violentate, i civili massacrati e costretti a fuggire senza speranza, sembrano non esistere, nessuno se ne occupa e pochissima la documentazione giornalistica sulla loro condizione.
La democrazia occidentale così impegnata a difendere i diritti umani e politici in altre aree del mondo, si è voltata ipocritamente dall’altra parte nel caso del Sudan.
Che cosa si può fare perché gli occhi europei vedano questo disastro?
Giampietro Pizzo